Rinascimento, Lorenzo De Medici, Aridosia, Apologia, Venezia, Clemente Vii, Bronzino

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LORENZINO DE’ MEDICI

 


ARIDOSIA E APOLOGIA




Torino, Un. Tip. Ed., 1921.

Cm. 18, pp.253+ VI tavv., bross.edit.


 

Interessante antica edizione,

volume corredato da introduzione e note di Federico Ravello,

e arricchito da ben sei tavole illustrative, tra cui lo stesso Lorenzino in una medaglia di VENEZIA, PAPA CLEMENTE VII del BRONZINO, negli UFFIZI a FIRENZE;

 nell’introduzione, redatta sotto forma di biografia, si racconta in modo dettagliato la tumultuosa vita di Lorenzino, e l'autore non manca di soffermarsi con grande dovizia di particolari sulle condizioni politiche e sociali dell’Italia del Cinquecento;

 il volume riporta, oltre alle due famose commedie Aridosia e Apologia, anche una Lettera a Francesco di RAFFAELLO DE’MEDICI, le Rime e le Lettere, ed infine delle notizie bibliografiche, con l’elenco delle edizioni dell’Aridosia, dell’Apologia, e con gli studi storici e critici più importanti per la comprensione e la conoscenza profonda di un personaggio molto importante per la storia del RINASCIMENTO.


DI INTERESSE CULTURALE, LETTERARIO, STORICO-LOCALE, BIBLIOGRAFICO

Buona conservazione generale, segni e difetti d'uso e d'epoca, sparse fioriture o difetti vari marginali

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Lorenzino de' Medici (Firenze 1514 - Venezia 1548). Nato da Pierfrancesco, del ramo cadetto della famiglia (i Popolani), e da Caterina Soderini, crebbe in un ambiente povero e moralmente degradato, riportandone complessione gracile e malaticcia e temperamento incline al vizio (di qui il soprannome sia di Lorenzino che di Lorenzaccio). Intraprese la carriera di cortigiano alla corte di Roma, durante il pontificato del più illustre parente Clemente VII, presso il quale cadde tuttavia ben presto in disgrazia avendo sfregiato i bassorilievi dell'arco di Costantino e altre statue antiche. Per sfuggire all'ira del pontefice riparò, all'inizio degli anni Trenta, a Firenze, dove divenne intimo del cugino Alessandro (appena investito della signoria da Carlo V) menando insieme vita eccentrica e dissoluta fino al 1537, allorquando, postosi a capo di una congiura organizzata dai fuoriusciti repubblicani, lo assassinò con l'aiuto di un servo nella notte dell'Epifania. Al gesto, dettato da un intreccio di motivi, cui non fu certo estraneo uno spirito di rivalsa lungamente covato, lo stesso Lorenzino tentò di dare invece una giustificazione esclusivamente e nobilmente politica, spiegandolo in un'Apologia scritta qualche tempo dopo (1539?) come un tirannicidio, necessario per ripristinare il regime repubblicano. Tralasciando la questione della sincerità o meno di tale argomentazione, l'opera interessa per le evidenti ascendenze machiavelliane, tanto nello stile quanto nella struttura, con la compresenza di due piani: la storia contemporanea e quella classica, posti in feconda dialettica tra di loro (Alessandro è paragonato a Nerone per l'empietà, a Caligola per la lussuria, al tiranno di Agrigento Falaride per la crudeltà, ma anche al greco Timoleone che non esitò a eliminare il fratello Timofane per impedirgli di conquistare la tirannide di Corinto). Le qualità della prosa e la fredda passione analitica ne fanno quindi il capolavoro dell'oratoria cinquecentesca (e per tale lo ebbero lettori raffinati come Giordani e Leopardi). Dopo il delitto Lorenzino trovò rifugio dapprima a Bologna, poi a Venezia, dove si ricongiunse a un altro dei congiurati, Filippo Strozzi, con il quale tentò di ricompattare l'opposizione repubblicana ma invano, giacché nell'estate del 1537 l'esercito mediceo sbaraglierà definitivamente le forze messe insieme dai fuoriusciti, e in quell'occasione lo stesso Strozzi verrà fatto prigioniero, trovando la morte in carcere l'anno seguente. Dieci anni dopo la vendetta di Cosimo raggiungerà anche Lorenzino, assassinato a Venezia da due sicari. Oltre all'Apologia la sua produzione letteraria annovera rime di vario argomento e una commedia, l'Aridosia, rappresentata per la prima volta a Firenze nel 1536 in occasione delle nozze del duca Alessandro con Margherita d'Austria (e stampata a Venezia, presso Mattio Pagan, verisimilmente nello stesso anno). Se per la trama essa è debitrice di modelli terenziani (Adelphoe) e plautini (Aulularia e Mostellaria), appare invece ben in sintonia con lo spregiudicato realismo rinascimentale nella rappresentazione della corruzione ecclesiastica e delle onnipresenti pulsioni erotiche: motivi entrambi che fanno porre anche quest'opera in relazione con il recente esempio machiavelliano della Mandragola, pur senza rinnovarne l'efficacia drammaturgica e la lucidità dimostrativa.(dal web)